Cosimo Terlizzi è il presidente della giuria che sceglierà i vincitori dell’edizione 2019 di The Next Generation. Il suo percorso artistico, iniziato già negli anni Novanta, si snoda fra varie discipline: è regista, fotografo, performer, videoartista, scultore.

I suoi film sono stati pre­sen­tati in fes­ti­val come Rotterdam Int. Film Festival, Festival d’Automne a Parigi, Kunstenfestivaldesarts di Brussel, Biennale Danza di Venezia, Torino Film Festival, Festival Internacional de Cine de Mar del Plata, London Int. Documentary Festival, Festival Internazionale del Cinema di Roma e Homo Novus fes­ti­val di Riga. Nel 2018 ha real­izzato il suo primo lun­gome­trag­gio di fic­tion, Dei con Buena Onda (la casa di pro­duzione di Valeria Golino, Riccardo Scamarcio e Viola Prestieri).

Ha esposto in musei e gal­lerie quali Centre Pompidou a Parigi, Mambo di Bologna, Centre for Contemporary Art di Varsavia, Fondazione Merz di Torino, Galleria Civica d’Arte Contemporanea di Trento, il MACRO di Roma, National Museum of Breslavia in Polonia, Galerie C di Neuchâtel.

Abbiamo fatto una chiacchierata con lui sull’atto creativo, sul cinema, sul nostro festival.

Cosimo Terlizzi – foto di Marco Ancora

Sei un regista e artista eclettico che si muove fra cinema, fotografia, videoarte e performance e nel 2019 sei stato per la prima volta direttore artistico dell’Asolo Art Film Festival, la più antica rassegna al mondo dedicata ai rapporti tra cinema e arti visive. Qual è il tuo approccio quando crei le tue opere e in che modo la tua sensibilità influisce quando ti trovi dall’altra parte, a dirigere un festival importante o in qualità di presidente della giuria come nel caso di The Next Generation?

Creo come in uno stato di devozione verso il mondo. Cerco quelle tracce che si spostano dall’ossessione antropocentrica. È chiaro che non posso fare a meno del mio corpo e dell’esperienze relative ad esso. So che l’esistere è un evento straordinario. Forse il creare opere è come creare amuleti sacri che servono a intercedere verso ciò che è più bello o conturbante dell’amuleto stesso. In fondo, le opere che mi colpiscono mi stordiscono. Quando sono colpito dimentico il tempo. Bastano pochi segni per portarmi nell’aldilà. Ovvero dentro il paesaggio dell’opera. Divento di colpo credente. Cerco questo stordimento nelle cose che vedo e che vedrò. Questo è lo stesso approccio che ho avuto nella direzione del festival e che avrò nella giuria.

“Dei” (2018) – foto di Matteo Leonetti

Spesso il cortometraggio viene inteso in maniera riduttiva, come un saggio di abilità tecnica, tappa obbligata che precede l’approdo al lungometraggio, quasi un esercizio “scolastico”. Invece, a nostro avviso, è una forma illimitata che si serve di una molteplicità di linguaggi, senza dover necessariamente sottostare alle regole canoniche della produzione e del consumo cinematografico, attraverso cui spingersi in libertà nella sperimentazione di mezzi e formati contaminandosi con le altre arti e avventurandosi in nuovi territori. Perché, allora, al di fuori dei festival, nel sistema culturale italiano c’è poca attenzione nei confronti della forma breve? E che differenza c’è per te – come regista – fra corto e lungometraggio in termini di potenzialità espressive?

È un discorso complesso. Dovrebbero essere sempre le istituzioni a dare il buon esempio per così tracciare un’abitudine culturale. Per esempio, incentivare l’inserimento di cortometraggi prima del film lungo sia al cinema che alla tv. Sarebbe un altro ottimo modo per far circolare idee, economie e cultura.
La differenza è soprattutto evidente nella durata ovviamente, ma spesso i corti sono come quelle frasi scritte sui muri, o come gli aforismi e ti illuminano come i koan. Alcuni film ci impiegano tanti minuti per farti arrivare a comprendere qualcosa. Devo ammettere che mi capita spesso di vedere lavori di pochissimi minuti che mi sembrano durare una eternità. Strano. Bisogna anche dire che siamo fin troppo abituati alle frasi brevi e alle immagini d’effetto. Come alle gif. Cerco quindi qualcosa di più dall’effetto provocatorio fine a sé stesso.

The Next Generation vuole dare spazio ai videomaker emergenti, scoprire nuovi talenti e linguaggi attuali e “misurare la temperatura” della cinematografia indipendente in Italia. Cosa ti aspetti da questa edizione del festival?

Mi aspetto molto, sarò un setaccio sottilissimo.

Che suggestioni richiama per te il tema scelto per l’edizione di quest’anno: “Geografie”(mappature da(e)l mondo contemporaneo)?

Viviamo un periodo storico davvero sorprendente, nel bene e nel male.
Le mie suggestioni portano comunque dentro una sedimentazione delle cose passate e quindi il mio modo di vivere oggi ha questa memoria (per esempio l’inesistenza del web, dello smart phone ecc, cose che hanno cambiato molto le abitudini e il modo di fare esperienza). Sono sempre molto curioso invece di come le nuove generazioni rispondano a tutto ciò.