Arte e geografia hanno un rapporto antico e complesso. Ma quali sono le rappresentazioni degli artisti nel mondo globalizzato del XXII secolo?

Per la loro stessa natura, arte e geografia umana hanno un legame stretto e antico. Entrambe sono gli strumenti con i quali concettualizziamo, strutturiamo e diamo forma alla rappresentazione del mondo in cui viviamo.

Pensiamo al Rinascimento, quando la pittura del paesaggio e le mappe adornavano le pareti dei palazzi man mano che venivano esplorate nuove terre, come segno evidente dei progressi della cartografia, delle nuove conoscenze e delle nuove conquiste. Una chiara espressione dell’ascesa e dell’affermazione dell’imperialismo europeo.

Se l’arte è strettamente connessa con il concetto di geografia in quanto «parte della pratica di abitare la terra», è naturale chiedersi in che modo gli artisti rappresentano la geografia nel XXI secolo, in un mondo globalizzato in cui i legami e i movimenti sono così fluidi e meno definiti di un tempo; in un’epoca in cui i concetti di “confine”, “passaporto”, “cittadinanza” sono quantomai cruciali.

Una risposta affascinante prova a darla l’artista australiana di origine indonesiana Tintin Wulia, che porta avanti un lavoro di ricerca proprio sul viaggio nel mondo contemporaneo, sull’appartenenza, sull’identità. L’installazione interattiva Nous ne notons pas les fleurs, ispirata dalle parole di Antoine de Saint-Exupery nel Piccolo principe (i geografi non registrano la presenza dei fiori perché a differenza della terra sono effimeri) e sviluppata durante una residenza al Khoj International Workshop a Patna, in India, esplora l’effimero attraverso la creazione di una grande mappa dell’India con fiori. Wullia invita gli spettatori a organizzare la mappa a loro piacimento, mentre una serie di webcam riprende e trasmette continuamente gli spostamenti sulla mappa, in modo che i pubblico possa vedere come le proprie azioni incidano sulla trasformazione del mondo.

Tintin Wulia, Nous ne notons pas les fleurs (Leiden 2015)

Un’altra affascinante performance cartografica della stessa artista è Terra Incognita, et cetera. nella quale si chiede al pubblico di rivendicare alcuni pezzi di territorio su una grande mappa basata sulla proiezione Dymaxion di Bucky Fuller sotto l’occhio di un circuito di videocamere di sorveglianza.

Il numero di artisti che sta incentrando la propria riflessione e la propria ricerca sulla geografia spaziando fra i vari media (video, musica, arti figurative ecc.) è in costante crescita. Nel 2014 la curatrice Nato Thompson ha raccolto una serie di lavori che hanno usato la «geografia come musa» e ha inaugurato la mostra Experimental geography, facendo emergere un filone davvero interessante. La Geografia sperimentale, infatti, esplora «le distinzioni tra studio geografico ed esperienza artistica della terra, così come la congiuntura in cui i due regni si scontrano (e creano completamente un nuovo campo)».

Experimental Geography

La sfida adesso è rivolta ai videomaker italiani: non vediamo l’ora di conoscere le vostre mappature del mondo contemporaneo, le vostre “geografie”, esteriori o interiori che siano.