Per esplorare il tema Timeless, scelto dalla direzione artistica come suggestione poetica per l’edizione 2021 di The Next Generation, parliamo un cineasta che ha fatto della frammentazione del tempo e del sovvertimento dei codici tradizionali del cinema la sua cifra distintiva già al suo secondo lungometraggio: Alain Resnais e L’anno scorso a Marienbad (titolo originale, L’année dernière à Marienbad).

Sognavo un film di cui non si sapesse qual è la prima bobina.

Alain Resnais

Leone d’oro a Venezia nel 1961, L’anno scorso a Marienbad di Alain Resnais inaugura una nuova forma di espressione cinematografica ed è incontestabilmente uno dei maggiori esempi di abolizione della struttura temporale narrativa classica

Sceneggiata da Alain Robbe-Grillet e ispirata al romanzo L’invenzione di Morel dell’argentino Adolfo Bioy Casares, L’anno scorso a Marienbad è una pellicola che in apparenza si distingue per incoerenza e incomprensibilità, ma si rivela in realtà territorio di massima sperimentazione, in cui il regista mette in discussione uno dei cardini della narrazione filmica: il tempo. 

La trama che dà l’avvio allo sconvolgimento dell’esperienza del tempo portato avanti dal regista è piuttosto semplice: in un sontuoso e immenso hotel, uno sconosciuto ritrova una donna di cui sostiene essere stato amante in passato, mentre lei non sembra riconoscerlo, ne dubita; lui insiste per portarla via con sé, ma la donna rimanda sempre l’evento. E così si consuma un complicato viaggio nella memoria nel quale i confini fra presente e passato, inconscio, realtà, fantasia, desideri e falsi ricordi sono estremamente labili, e il tempo, frammentato e ricomposto da Resnais senza distinzione cronologica, è un continuum aggrovigliato e circolare da cui non si può uscire.

Una scena del film L’anno scorso a Marienbad di Alain Resnais

Nel parossistico mescolamento di passato e presente, Resnais ci porta rapidamente allo smarrimento, a perderci nel labirinto di questo non-luogo fatto di avanzamenti obbligati, di ripensamenti e di arretramenti – che, in fin dei conti è psichico e interiore.  

E non è un caso che l’immagine del labirinto ritorni a più riprese nelle inquadrature del film: sul muro di uno dei corridoi dell’hotel – che di per sé già suggeriscono la struttura di un labirinto – si nota (e la camera vi si sofferma più volte durante il film, negli snodi cruciali) un quadro che rappresenta un giardino dalle linee simmetriche in cui arbusti e cespugli sono disposti in modo da riprodurre un labirinto da cui – osserva uno dei presenti – è impossibile uscire. E allo stesso modo, ciascuno dei corridoi in cui Resnais si muove, rappresenta una delle possibili versioni della storia, rendendo in sostanza l’hotel un multiverso, uno spazio in cui coesistono universi paralleli,  in cui sogno e realtà si mescolano e ogni aspetto della narrazione – il tempo, le immagini, la natura dei fatti raccontati, i personaggi, il proprio sé – viene messo in discussione dall’inizio alla fine.

Se anche tu ti sei misuratǝ con una concezione non convenzionale del tempo in un cortometraggio o in un film d’artista, inviaci il tuo lavoro entro il 10 settembre. Qui la call completa.